Lauren Bravo
HOW TO BREAK UP WITH FAST FASHION
Come rompere con la Fast Fashion
Una guida senza sensi di colpa per cambiare per sempre il nostro modo di fare acquisti
Le proteste ci rendono creativi?
Comunicare con i tessuti da un nuovo punto di vista
La protesta contro la fast fashion ci obbliga a essere creativi. Lauren Bravo illumina le ragioni dell’ultimo trend: il non acquisto.
Può sembrare paradossale ma il libro della Bravo offre spunti molto utili ai fabbricanti di tessuto, li obbliga a cambiare il modo di comunicare le collezioni perché la sostenibilità esce dalle fabbriche per dilagare nelle azioni personali e negli atteggiamenti morali di chi acquista o sceglie di non acquistare più.
Questo significa che alle certificazioni sull’impatto ambientale, dovremo aggiungere garanzie etiche: chi ha fatto questo tessuto? In che condizioni ha lavorato l’operaio che lo ha prodotto? E qualitative: quanto durerà questo tessuto?
Paradossalmente, queste garanzie sono già acquisite, per lo meno in Europa: bisogna imparare a raccontarle bene.
20 modi per smettere di comprare nuovi vestiti (per sempre)
Mescolando la filosofia del riordino di Marie Kondo e l’attivismo di Fashion Revolution Lauren Bravo scrive un manuale di disintossicazione dalla dipendenza da fast fashion: un percorso di 20 azioni virtuose riassunte in un articolo del Guardian.
1. Fai repulisti
2. Inventa la tua eleganza
3. Impara dai tuoi errori
4. Indossa e ripeti con orgoglio
5. Punta a #Indossato30volte
6. Ordine, ordine
7. Chiedi in prestito
8. Convertiti #Secondamanoinnanzitutto
9. Mettiti a cucire
10. Rinnova e rammenda
11. Dà opportunità al vintage
12. Salva gli scarti
13. Scambia, non comperare
14. Setaccia i negozi di seconda mano
15. Smettila di fare shopping
16. Elimina la tentazione
17. Compra dalle piccole aziende
18. Fai i compiti, informati prima
19. Passa al pre-ordine
20. Chiediti #Chihafattoimieivestiti?
La Bravo suggerisce anche di annullare le iscrizioni a tutte le mailing list collegate al fashion e di modificare i nostri feed sostituendo gli account aggressivamente tentatori con i più miti account slow fashion.
È veramente necessario chiudere con la fast fashion?
Personalmente non sono contraria al pronto moda, dentro di me ho spesso benedetto il signor Ortega, che fondando Zara ha reso la moda democratica e accessibile a (quasi) tutte le donne, e, come imprenditore, ha creato posti di lavoro e certezza economica per moltissime persone.
Alcune azioni del percorso di disintossicazione descritto dalla Bravo fanno già parte della routine del buon senso femminile: non mi sembra però molto realistico immaginare per tutte un futuro da Scarlett ‘O Hara: il vestito verde che ricicla le tende di velluto appartiene a Via col Vento, non alla realtà.
Il tempo è il nostro lusso più grande e ne abbiamo sempre poco. Per le donne che lavorano e hanno una famiglia molte azioni raccomandate sono troppo time consuming. Praticare la sostenibilità deve essere sostenibile, altrimenti abbandoniamo il campo.
Rispondere agli hashtag di Fashion Revolution
#Indossato30volte #Chihafattoimieivestiti
Internet diffonde con rapidità vertiginosa idee e nuove forme di attivismo: ce lo documenta l’espandersi del movimento Fashion Revolution: le sue richieste di trasparenza nella filiera dell’abbigliamento e di rispetto degli standard etici e ambientali sono diventate un patrimonio comune di migliaia di attivisti, in ogni angolo del mondo.
Se Il vestito più sostenibile è quello che già possediamo e ci impegniamo a indossarlo almeno 30 volte, diventa importantissimo che un fabbricante di tessuto possa garantire la “durata” del suo prodotto: è un guadagno in termini di reputazione: #resterosempreconte
Ancora: non tutte le cose che ci piacciono sono”buone”, spesso dietro un capo confezionato c’è il lavoro di uno schiavo, addirittura di un bambino. Nessuno vuole comprare un abito cucito da uno schiavo di 9 anni. #chihafattoimieivestiti si deve trasformare in una risposta precisa.
Rispondiamo a #chihafattoquestotessuto con un’etichetta qualificante che permetta di brandizzare il welfare delle aziende virtuose.
Non è un problema semplice!
Con grande onestà la Bravo riconosce nella conclusione che tra il tentativo di bilanciare impatto ambientale e diritti umani, spendere di più comprando meno e conservare comunque il posto di lavoro (equamente retribuito) di chi produce vestiti, l’intero sistema dello shopping etico finisce un po’ ad assomigliare al problema della quadratura del cerchio.
È un problema veramente complesso: economia ed ecologia derivano dal greco oikos, casa: in questo momento l’economia più creativa è quella che nasce dal pensiero di Papa Francesco (!); un’economia che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda.
Tutti dobbiamo assumere la responsabilità nei confronti della nostra casa comune, non da padroni ma da custodi, non ci può essere giustizia ambientale senza giustizia sociale.
Buon lavoro!
Scritto da Alessandra Alberto
Responsabile creativa di Alberto & Roy. Antropologa tessile e pioniera dello storytelling tessile, ricercatrice appassionata delle arti visive e amante della parola dice: “Il linguaggio, usato bene, crea storie e connette punti, ci rende umani, ci rende liberi”.